Aumento del costo delle materie prime, rinegoziazione del contratto di durata e clausole di hardship

Avv. Prof. Andrea Sganzerla

La modifica dell’assetto giuridico-economico formalizzato negli accordi contrattuali a seguito di sopravvenienza imprevedibile e straordinaria: i rimedi in caso di sopravvenienze sperequative in ambito nazionale e l’applicazione dei Principi UNIDROIT nei Contratti Commerciali Internazionali.

I problemi creati nell’esecuzione dei contratti commerciali dall’evento pandemico – allorchè giunse inaspettato quanto sgradito – sono stati ripetutamente analizzati ed approfonditi in ogni sede, compresa questa testata, ma ora, a distanza di due anni in cui, almeno dal punto di vista commerciale e legale, la situazione può dirsi stabilizzata ecco comparire per effetto uguale, ma in direzione contraria, un problema opposto.

È infatti sotto gli occhi di tutti come il tema dell’aumento dei prezzi delle materie prime stia creando grosse problematiche a tutti i soggetti operanti nel campo distributivo, sia nazionale, sia estero. La ripartenza economica post-Covid ha visto realizzarsi una robusta ripresa economica italiana (con un doppio rimbalzo del PIL del 6,5% realizzato nel 2021 ed una stima OCSE del 4,1% per il corrente anno, dopo il crollo dell’8,9% del 2020) che però porta con sé anche una serie di inconvenienti logistici legati ad una carenza di materie prime e di forniture più in generale . Ciò inevitabilmente comporta problematiche di natura eminentemente economica che ha indubbi riflessi in ambito contrattuale, ovvero l’aumento dei prezzi.

Intervenire per porre rimedio a disequilibri nelle prestazioni corrispettive dovuti all’aumento dei costi delle materie prime imporrà preliminarmente l’analisi degli aumenti avvenuti e l’incidenza nei singoli contratti. Ovviamente non è questa la sede per occuparsi della negoziazione -o meglio rinegoziazione– di accordi contrattuali da un punto di vista commerciale, bensì della risoluzione delle problematiche dal punto di vista delle norme, in quanto è indubbio che l’aumento dei prezzi delle materie prime sia, soprattutto in determinati settori, una sopravvenienza imprevedibile e straordinaria atta a modificare l’assetto giuridico-economico formalizzato negli accordi contrattuali.

In ambito contratti nazionali

I rimedi in caso di sopravvenienze sperequative del contratto in ambito nazionale sono trattati, in via generale dall‘articolo 1467 c.c. Tale previsione normativa, applicabile a tutti i contratti ad esecuzione continuata o periodica, ovvero ad esecuzione differita, disciplina il rimedio dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, in base al quale il contratto è suscettibile di essere risolto quando la prestazione per il verificarsi di “avvenimenti straordinari ed imprevedibili” è diventata per una delle parti “eccessivamente onerosa“.

In tali casi, infatti, la parte svantaggiata può chiedere la risoluzione del contratto salva la possibilità della controparte di evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni.

Bisogna quindi chiarire cosa si intenda per avvenimenti straordinari ed imprevedibili.

In questo senso la giurisprudenza della Corte di Cassazione, (v. Cass.n°12235/2007n° 22396/2006n°2661/2001n°3342/1994 ) circa il carattere della straordinarietà, ha avuto modo di chiarire che esso è di natura obiettiva, qualificando un evento in base all’apprezzamento di elementi (es. frequenza, dimensioni, intensità) suscettibili di misurazione, tali pertanto da consentire, attraverso analisi quantitative, classificazioni quantomeno di ordine statistico. Quanto al carattere della imprevedibilità esso ha invece natura soggettiva ed è estraneo a qualsiasi ragionevolezza previsionale, travalicando le oscillazioni di valore delle prestazioni e le normali fluttuazioni di mercato.

Con la relazione tematica dell’8 luglio 2020, n°56 la Corte di Cassazione ha fornito utili ulteriori spunti. Per i contratti commerciali, che vengono dalla Corte individuati come funzionali per l’esercizio dell’impresa, essa afferma che: “…. A fronte della sopravvenienza l’obiettivo precipuo del contraente sfavorito non è lo smantellamento del rapporto, ma la sua messa in sicurezza sul crinale di un riequilibro reciprocamente appagante delle prestazioni…. Più che la liberazione del debitore-imprenditore dall’obbligazione, cruciali appaiono l’attenuazione o il ridimensionamento del contenuto di questa ove il suo adempimento sia ostacolato…“.

In sintesi la Corte esprime il principio che i contratti, in linea generale, debbano essere rigidamente rispettati nella loro formulazione originaria, laddove rimangano inalterati i presupposti e le condizioni di cui le parti hanno tenuto conto al momento della stipula. D’altra parte, qualora una sopravvenienza rovesci il terreno fattuale e l’assetto giuridico-economico su cui poggia la pattuizione negoziale, la parte danneggiata deve poter avere la possibilità di rinegoziare il contenuto delle prestazioni.

La buona fede, che deve ispirare ogni fase contrattuale, è infatti espressione del principio costituzionale della solidarietà (art.2 Cost.), secondo cui ciascuno dei contraenti è tenuto a salvaguardare l’interesse dell’altro, se ciò non comporti un apprezzabile sacrificio dell’interesse proprio. In questa prospettiva, la buona fede configura la rinegoziazione del contratto come un passaggio necessario per adattare il contratto alla situazione imprevedibile straordinaria sopravvenuta e preservare il rapporto economico sottostante alla pianificazione originaria, con la conseguenza che chi si sottrae all’obbligo di ripristinarlo commette una grave violazione del regolamento contrattuale.

Quanto al contenuto della rinegoziazione, essa comporta la realizzazione di tutti quegli atti che, in relazione alle circostanze, possano concretamente consentire alle parti di accordarsi sulle condizioni dell’adeguamento del contratto, alla luce delle modificazioni intervenute. I criteri dai quali desumere il comportamento delle parti nel corso delle trattative destinate alla rinegoziazione del contratto, sono anche in questo caso offerti dalla clausola generale di buona fede (art. 1175 e 1375 c.c.).

Nella sua peculiare funzione interpretativa l’Ufficio del Massimario della Cassazione in pratica stabilisce un obbligo di rinegoziazione che impone di intavolare nuove trattative e di condurle correttamente, ma certo non si può spingere fino all’obbligo di concludere il contratto modificativo. Conseguenza di quanto detto è che la parte tenuta alla rinegoziazione deve considerarsi adempiente se, in presenza dei presupposti che richiedono la revisione del contratto, promuove una trattativa o raccoglie positivamente l’invito alla rinegoziazione rivoltole dalla controparte e se propone soluzioni riequilibrative che possano ritenersi eque ed accettabili alla luce dell’economia del contratto. Ulteriore conseguenza, per contro, sarà certamente quella di configurare inadempiente quella parte che, tenuta alla rinegoziazione, si oppone in maniera assoluta ed ingiustificata ad essa, o se si limita ad intavolare trattative di mera facciata, ma senza alcuna effettiva intenzione di rivedere i termini dell’accordo.

In ambito contratti internazionali

Il principio espresso dall’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione che, come abbiamo visto, tende sostanzialmente alla conservazione del contratto è, per così dire, istituzionalizzato in ambito internazionale. Nei contratti commerciali internazionali è infatti assai diffuso il ricorso alle cosiddette clausole di hardship , ovvero clausole che individuano circostanze che alterano sostanzialmente l’equilibrio economico del contratto ed i rimedi applicabili al verificarsi delle stesse.

In ambito internazionale le fattispecie di hardship sono delineate dai Principi UNIDROIT dei Contratti Commerciali Internazionali. In particolare, gli artt. 6.2.2 e 6.2.3 disciplinano rispettivamente l’hardship e i suoi effetti.

Tali principi prevedono che la stessa operi quando si verificano eventi che alterano sostanzialmente l’equilibrio del contratto, o per l’accrescimento dei costi della prestazione di una delle parti, o per la diminuzione del valore della controprestazione.

Affinché si integri una causa di hardship è necessario che:
1) l’evento si verifichi o diventi molto noto alla parte svantaggiata successivamente alla conclusione del contratto;
2) l’evento non sia prevedibile dalla parte svantaggiata al momento della conclusione del contratto;
3) l’evento sia estraneo alla sfera di controllo della parte svantaggiata;
4) la parte svantaggiata non abbia assunto il rischio di tali eventi.

Quanto poi agli effetti dell’hardship, l’art.6.2.3 dei principi riconosce il diritto della parte svantaggiata di chiedere la rinegoziazione del contratto. La richiesta di rinegoziazione, che di per sé non dà alla parte svantaggiata il diritto di sospendere l’esecuzione, deve essere fatta senza ingiustificato ritardo ed deve indicare i motivi su cui è basata. In caso di mancato accordo tra le parti entro un termine ragionevole, ciascuna di esse può rivolgersi al giudice che, qualora accerti il ricorrere di una ipotesi di hardship, può risolvere il contratto, ovvero modificarlo al fine di ripristinarne l’originario equilibrio.
Inoltre, al fine di sostenere le imprese a livello internazionale, nel 2020 la Camera di Commercio Internazionale (ICC) ha aggiornato la clausola di hardship elaborata precedentemente che stabilisce gli eventi non previsti dalle parti che potrebbero comportare notevoli modificazioni all’equilibrio del contratto e le relative conseguenze (rinegoziazione del contratto o risoluzione).

Riguardo allo squilibrio contrattuale causato dal notevole incremento dei costi delle materie prime è quindi necessario verificare la presenza o meno di una clausola di hardship e la riconducibilità della circostanza in questione tra quelle che ne determinano l’attivazione. Salvi ulteriori specifici accordi tra le parti, rispetto ai contratti in corso è ragionevole ritenere che i rilevanti incrementi dei costi delle materie prime a seguito della ripresa post-pandemica possano costituire, quantomeno nei settori merceologici più colpiti, una circostanza imprevedibile, straordinaria e fuori dal controllo delle parti rilevanti ai fini delle più comuni clausole di hardship.
Qualora invece ci trovassimo in assenza della clausola di cui sopra, ai fini della gestione del rapporto dovranno esperirsi i rimedi previsti dalla legge applicabile al contratto scelta dalle parti.
Qualora le parti non abbiano scelto la legge applicabile al contratto la sua individuazione segue le norme di diritto internazionale privato del Paese del giudice competente a risolvere la controversia.

Un’ultima annotazione riguarda i futuri contratti i quali, invece, considerato che le variazioni dei costi delle materie prime causate dalla ripresa post-pandemica ad oggi non sono più imprevedibili e che, quindi, in futuro non consentirebbero di attivare i rimedi sopra indicati, si suggerisce di disciplinare gli effetti sul contatto di eventuali sopravvenienze legate a ricadute nella pandemia o agli effetti della ripresa tali da compromettere l’equilibrio contrattuale.

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